Il ruolo dell’operatore sociale: dare voce a chi?
Cosa significa davvero “dare voce” nel lavoro sociale? In questo articolo racconto un caso reale che solleva interrogativi profondi sul ruolo dell’operatore sociale, sull’ascolto, sul riconoscimento e sull’equilibrio tra sapere clinico e dignità della persona.
[Tempo di lettura: 5min]

Inizio questo articolo raccontando una dinamica nella quale sono stato direttamente coinvolto come professionista: una donna vive all'interno di un servizio residenziale. Da settimane lamenta un forte dolore ad una gamba, non sapendo precisamente indicare il punto, riferisce e mostra difficoltà nei movimenti, chiede aiuto. Viene accompagnata da un ortopedico che, dopo un esame obiettivo, la rimanda a casa con la frase: “Non ha nulla”.
Il dolore non passa. Le settimane corrono. Alla donna viene prescritto un antidolorifico. Le difficoltà motorie peggiorano: cade, le viene dato un deambulatore. Una radiografia dopo la caduta non mostra fratture. Il medico inizia a sospettare una “richiesta di attenzione”. L’équipe educativa, affidandosi alla parola dell’esperto e all’interpretazione clinica, si convince che il dolore sia una modalità disfunzionale di relazione. Viene dunque sminuito, ignorato, gestito. Il dolore diventa rumore di fondo, la voce della donna un’eco da evitare.
Solo dopo una nuova caduta, più seria, e un’indagine approfondita presso un altro centro, viene diagnosticata una frattura dell’anca mai individuata prima.
Il rischio di tradire la fiducia
Questa storia non è solo un caso clinico: è un paradigma. Parla del rischio concreto, quotidiano, di gerarchizzare le esperienze e le opinioni: si dà più credibilità alla parola di un professionista rispetto a quella del diretto interessato.
Il motivo che porta - più o meno consapevolmente - ad agire in questa maniera risiede nella differenza accademica tra il lavoro sociale e le professioni medico-sanitarie.
Questa dinamica è figlia della natura stessa delle professioni sociali: essendo queste cosiddette scienze molli, ovvero non si avvalgono come la matematica, la chimica, la fisica e così via di dati certi, di manuali e procedure riproducibili e standardizzabili, sono soggette a svalutazione quando confrontate con scienze che, a contrario, dispongono di dati quantitativi.
La parola di un medico vale più di quella di un operatore sociale?
Perché il rischio è quello di silenziare la voce dell’utente quando questa si fa troppo insistente, scomoda o difficile da interpretare secondo i codici “professionali”. È una questione etica, culturale e politica.
Il riconoscimento del ruolo dell’operatore sociale non può ridursi alla semplice applicazione di un mandato o all’esecuzione di un progetto. Riguarda, prima di tutto, la capacità di mantenere uno sguardo vigile, critico e umano su ciò che le persone vivono e raccontano. Anche quando – o proprio quando – la narrazione si discosta dalle aspettative, o sfida le letture dominanti.
Essere portavoce, non interpreti unici
L’operatore sociale è un mediatore tra mondi. Ha la responsabilità di farsi portavoce delle domande, dei bisogni e dei vissuti delle persone con cui lavora. Questo non significa tradurre tutto in categorie cliniche o comportamentali, ma restituire dignità a ciò che viene detto, anche quando suona stonato.
Riconoscere la voce dell’altro significa, prima ancora che validare un bisogno, sospendere il giudizio e attivare l’ascolto. Anche laddove la sofferenza non trova riscontro immediato negli strumenti diagnostici. Perché l’esperienza soggettiva del dolore – fisico o psichico – merita sempre attenzione, tempo e fiducia.
Riconoscere non è solo validare
Parlare di riconoscimento significa parlare di potere. Axel Honneth, uno dei principali teorici contemporanei della teoria del riconoscimento, afferma che la mancanza di riconoscimento può diventare una forma sottile di ingiustizia, capace di generare sofferenza, esclusione, protesta.
Riconoscere, quindi, non è solo “dare ragione”: è includere l’altro nella cornice di ciò che riteniamo legittimo, comprensibile, degno. È collocare la sua voce dentro le dinamiche istituzionali senza ridurla al silenzio, al sospetto o alla patologia.
Una questione deontologica
Tornando alla domanda di qualche paragrafo fa:
La parola di un medico vale più di quella di un operatore sociale?
La risposta è: dipende.
Senza dubbio, la competenza di un medico – così come quella di un avvocato o di altri professionisti – ha un valore importante, fondato su formazione, esperienza e prassi consolidate. Ma il valore dell’intervento sociale non può essere considerato secondario. L’operatore sociale agisce in forza di un mandato professionale, di un ruolo ben definito e di un codice deontologico che lo impegna a tutelare i diritti, il benessere e la voce delle persone con cui lavora.
Tornando alla situazione iniziale, viene da chiedersi: cosa si sarebbe potuto fare per non sminuire né il parere medico, né la voce della donna?
Uno degli strumenti fondamentali delle professioni sociali è l’ascolto.
Ascoltando è difficile sbagliare.
Un ascolto che non è mai passivo, ma attento, riflessivo, capace di tenere insieme più punti di vista. Ascoltare il parere del medico, riconoscendone l’autorevolezza ma non assumendolo come verità assoluta, avrebbe permesso di mantenere aperta una possibilità: quella di considerare che, se il dolore continuava a manifestarsi, forse era necessario approfondire.
L’errore non sta nel fidarsi di un parere clinico, ma nel chiudere la porta a qualsiasi altra ipotesi.
Quando il problema persiste, è proprio l’ascolto — della persona, della sua esperienza, della sua insistenza — che può fare la differenza. Non per smentire il medico, ma per prendersi cura in modo completo, integrato, responsabile. Ed è qui che il lavoro sociale esercita la sua funzione più preziosa: tenere aperta la possibilità di un’altra lettura.
È necessario riconoscere l'autorevolezza altrui, ma anche la propria. Il riconoscimento delle professioni sociali passa in primo luogo dal riconoscimento di noi stessi come figure professionali autorevoli e non subordinate.
Marco Vanzini per #ImpegnoSociale
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